Sono ormai dieci anni che l’8 giugno si celebra la Giornata Mondiale degli oceani (Word Oceans Day), la ricorrenza indetta nel 2008 dall’ONU per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della tutela del più grande e fondamentale ecosistema del nostro pianeta. In particolare per l’edizione del 2018 le Nazioni Unite hanno voluto lanciare un monito molto forte, descritto dal motto “Pulisci il nostro oceano” (Clean our ocean!).
Clean our ocean! Ma da cosa?
Principalmente dalla plastica, considerata una delle principali minacce alla salute dell’intero globo. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha sottolineato quanto sia ormai diventata grave la situazione e avverte: “Se non cambiamo rotta, negli oceani potrebbe presto esserci più plastica che pesci. L’80% dell’inquinamento marino proviene dalla terra, compresi otto milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che ogni anno finiscono in mare.”
La situazione dei nostri mari
L’Europa è il secondo maggiore produttore mondiale di plastica dopo la Cina. Il vecchio continente produce 27 milioni di tonnellate di rifiuti plastici all’anno, tra le 70 e 130 mila tonnellate di microplastiche (frammenti più piccoli di 5 mm) e tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche (equivalenti a 66.000 camion dei rifiuti) finiscono ogni anno nel Mar Mediterraneo e nei mari d’Europa.
Non se la passa bene nemmeno l’Italia. Le recenti indagini condotte da Legambiente attraverso il rapporto “Goletta Verde” infatti, hanno fatto emergere che di plastica è il 96% dei rifiuti galleggianti nei nostri mari. Una densità pari a 58 rifiuti per ogni chilometro quadrato di mare con punte di 62 nel mar Tirreno. Tra i rifiuti più comuni sono stati individuate buste (16,2%), teli (9,6%), reti e lenze (3,6%), frammenti di polistirolo (3,1%), bottiglie (2,5%).
Come risolvere questo problema?
Si tratta di un vero e proprio dramma, che ha spinto istituzioni, organizzazioni senza scopo di lucro, aziende e cittadini privati ad affrontare seriamente il problema. La Commissione europea, infatti, ha deciso di vietare una serie di oggetti di plastica come posate, piatti, cotton fioc, cannucce, agitatori per bevande e bastoncini per i palloncini ed ha messo in atto progetti volti a sostituire le bottiglie di plastica con materiali biodegradabili.
Anche i privati cittadini sembrano sensibilizzarsi pian piano al problema. Uno studio condotto dalla community Friends of Glass e diffuso in Italia da “Assovetro” precisa infatti che il 78% degli europei ha registrato un cambiamento nel proprio comportamento, affermando di prestare una maggiore attenzione alle proprie decisioni quotidiane a favore dell’impatto ambientale riducendo l’acquisto di oggetti in plastica e favorendo altri tipi di materiale: per esempio usando i piatti in ceramica piuttosto che quelli usa e getta. Un ulteriore 78% degli europei, inoltre, classificherebbe il vetro ai primi posti in una personale classifica di imballaggi per cibi e bevande, a discapito fortunatamente della plastica.
L’impegno di Greenpeace
Già nei mesi scorsi l’Associazione ambientalista canadese ha lanciato una petizione (no-plastica.greenpeace.it), sottoscritta da più di un milione di persone in tutto il mondo, in cui si chiede ad alcune multinazionali di ridurre drasticamente l’utilizzo di contenitori e imballaggi in plastica monouso. Ma dal mese di giugno 2018 ha voluto lanciare un servizio alla portata di tutti per individuare i principali marchi che, da anni, continuano a immettere sul mercato enormi quantitativi di plastica.
Plastic Radar, come funziona?
Plastic Radar è un servizio alla portata di tutti creato per segnalare la presenza di rifiuti in plastica sulle spiagge, sui fondali o che galleggiano sulla superficie dei mari italiani.
Come funziona? E’ molto semplice, basta avere un telefono cellulare su cui sia installata l’applicazione Whatsapp e fotografare l’eventuale rifiuto in plastica trovato sulle spiagge, sui fondali o sulla superficie dei mari italiani e, se possibile, fare in modo che sia riconoscibile il marchio e il tipo di plastica di cui è costituito. Una volta ottenuta la fotografia deve essere inviata al numero di Greenpeace +39 342 3711267, insieme alle coordinate geografiche del luogo dove è stato individuato il rifiuto. “Ogni segnalazione viene elaborata da Greenpeace e i dati relativi a tipo di rifiuto e posizione saranno disponibili in forma aggregata – nell’arco di 24-48 ore – sul sito plasticradar.greenpeace.it”, come si legge nel comunicato stampa dell’Associazione.
“L’iniziativa, oltre a far luce sui rifiuti in plastica più presenti nei mari italiani, vuole individuare anche i principali marchi che, da anni, continuano a immettere sul mercato enormi quantitativi di plastica, principalmente usa e getta, non assumendosi alcuna responsabilità circa il suo corretto riciclo e recupero” dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
Ognuno, nel suo piccolo, può dare il suo contributo per un mare e un pianeta più pulito, giovando così anche all’essere umano stesso. Molto spesso infatti ci si dimentica che l’oceano e l’uomo sono interconnessi poiché la salute dei mari condiziona il benessere dell’uomo: basti pensare ai processi attraverso i quali l’ambiente produce aria pulita, acqua, cibo e materiali con cui si entra inevitabilmente in contatto ogni giorno.